Diagnosi e neurodivergenza: un diritto, non un privilegio
Queste parole gravissime non solo sminuiscono la realtà dei ragazzi con diagnosi, ma rischiano di creare un pericoloso disorientamento tra le famiglie e la società. La crescita delle certificazioni diagnostiche ha solide basi scientifiche. Questo fenomeno si spiega con una maggiore consapevolezza riguardo ai disturbi e alle neurodivergenze, non con un’invenzione arbitraria di medici e specialisti. I dati nazionali e internazionali confermano che molti bambini e ragazzi, un tempo esclusi dal diritto a un’istruzione adeguata, ora possono ricevere i supporti necessari. Questo avviene grazie alla diagnosi tempestiva che prima mancava, consentendo loro di affrontare il percorso scolastico e personale in modo adeguato.
Il ruolo dei media nella disinformazione sulle diagnosi
La parte più difficile da accettare non è tanto la follia di un vecchio pseudo-intellettuale in cerca di visibilità. È il consenso e lo spazio mediatico che gli vengono concessi. Testate giornalistiche e programmi televisivi si affrettano a diffondere queste affermazioni, amplificando chiacchiere da bar prive di fondamento scientifico. Questo non è giornalismo. È un gioco pericoloso che mina il lavoro di chi lotta per il riconoscimento dei diritti delle persone neurodivergenti.
Il pericolo degli opinionisti senza competenze scientifiche
Non è solo Galimberti a distinguersi con queste uscite senza senso. Anche personaggi come Alberto Pellai e Paolo Crepet, con i loro attacchi alla crescente consapevolezza sulle difficoltà adolescenziali, contribuiscono alla narrazione tossica. Secondo questa visione, si starebbe “certificando troppo”. Crepet, in particolare, si è costruito un’intera carriera sulla retorica dell’educazione autoritaria e dell’ostilità verso la neurodivergenza, spacciando i suoi pregiudizi per scienza. La sua narrazione semplicistica e reazionaria ignora volutamente che le diagnosi non sono un “lasciapassare”, ma strumenti essenziali per garantire il diritto all’istruzione e all’inclusione. Queste affermazioni alimentano un pericoloso pregiudizio. Insinuano che la richiesta di supporto da parte delle famiglie sia un capriccio, e non una necessità fondata su criteri clinici seri e documentati.
Le conseguenze reali della disinformazione sulle famiglie
Non comprendiamo come la società possa accettare senza riserve l’uso degli occhiali come strumento compensativo per chi ha problemi di vista. Gli occhiali sono riconosciuti come necessari per garantire una qualità di vita adeguata. Al tempo stesso, non si comprende che un PDP o un PEI siano strumenti compensativi equivalenti per chi ha difficoltà nell’apprendimento. Se mancano strumenti cognitivi o funzionali per stare al passo con il resto della classe, perché negare l’accesso a quelli che colmano questo divario? La mancata accettazione di queste misure non è solo un’ingiustizia educativa, ma un attacco al diritto all’uguaglianza e all’inclusione.
Ancora più grave è l’impatto concreto che queste parole hanno nella vita quotidiana di ragazzi e famiglie. Molti docenti di vecchio stampo, già restii a rispettare la normativa su diagnosi, PEI e PDP, trovano in questi titoloni un comodo pretesto per ignorare le esigenze degli studenti. Il risultato? Ragazzi lasciati soli, esclusi dai percorsi personalizzati previsti dalla legge. Famiglie costrette a battaglie estenuanti per far valere diritti sanciti nero su bianco. Questi atteggiamenti non solo ledono il diritto allo studio, ma provocano danni psicologici ed emotivi profondi: ansia, stress, insuccesso scolastico e, nei casi più gravi, il ritiro dalle attività didattiche.
Difendiamo il diritto allo studio: basta speculazioni mediatiche sulle diagnosi
A tutto questo rispondiamo con fermezza: non toccate i nostri figli, non strumentalizzate le loro diagnosi, non giocate con le loro vite. Le diagnosi non sono un’opinione, ma il risultato di anni di ricerca, di studi approfonditi, di valutazioni fatte da professionisti altamente qualificati. Chi non ha basi scientifiche e si limita a fare sensazionalismo per vendere libri o per guadagnare spazio nei salotti televisivi non ha alcun diritto di interferire nel percorso di chi ogni giorno lotta per garantire un futuro sereno e dignitoso ai propri figli.
Siamo stanchi di sentir dire che si sta ‘certificando troppo’, quando la realtà dimostra che per anni troppe persone sono state lasciate senza supporto, senza strumenti, senza riconoscimento. Chi parla senza cognizione di causa non solo fa disinformazione, ma mette in pericolo il diritto di questi ragazzi ad avere un’educazione equa e accessibile e danneggia la vita di questi ragazzi. Non si torna indietro, non si cancella il progresso fatto nel riconoscimento della neurodivergenza. La scuola deve essere un luogo di crescita e inclusione, non un’arena per chi cerca visibilità sulla pelle di chi è già stato troppe volte invisibilizzato.
In risposta a queste affermazioni, il Presidente di FISH Ets, Vincenzo Falabella, ha realizzato un video che puoi vedere qui: Facebook Reel
La verità scientifica contro la disinformazione
Lo stesso atteggiamento lo ritroviamo spesso in altri ‘esperti da talk show’, che pontificano su tutto senza avere alcuna competenza specifica. Da Alessandro Orsini, che si improvvisa conoscitore di psicologia dell’età evolutiva senza alcuna formazione nel settore, fino a Vittorio Sgarbi, che non perde occasione per esprimere opinioni grossolane su argomenti che non padroneggia, il panorama è pieno di figure che parlano senza alcun titolo, alimentando confusione e pregiudizio.
I veri problemi della scuola italiana
A chi giova questa narrazione? Certamente non alle famiglie, ai ragazzi e ai professionisti che ogni giorno lottano contro mille difficoltà per garantire un futuro dignitoso a chi ha bisogni educativi speciali. Il problema non è la crescita delle diagnosi, ma la difficoltà di garantire un sistema scolastico realmente inclusivo e capace di accogliere tutti gli studenti, indipendentemente dalle loro caratteristiche e necessità. I veri problemi della scuola non sono i ragazzi con BES o disabilità, ma la mancanza di risorse, di formazione adeguata per i docenti e di strutture in grado di rispondere ai bisogni di una società che finalmente sta prendendo coscienza della neurodivergenza.
Fonti scientifiche a supporto della verità
Le evidenze scientifiche smentiscono totalmente le posizioni di questi opinionisti da salotto. Studi recenti, come quelli pubblicati dall’American Psychological Association (APA) e dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), dimostrano che le diagnosi di disturbi neurodivergenti non sono affatto sovradiagnosticate, ma al contrario, in molti casi, sottostimate e diagnosticate troppo tardi, con gravi conseguenze sullo sviluppo scolastico e personale dei ragazzi. La ricerca condotta dal National Institute of Mental Health (NIMH) evidenzia come un corretto riconoscimento precoce di condizioni come l’ADHD o i disturbi dello spettro autistico migliori significativamente la qualità della vita e l’inserimento sociale dei soggetti coinvolti.
Marie Helene Benedetti
Presidente dell’associazione Asperger Abruzzo